Il diabete: cos’è?

Il diabete è una malattia cronica caratterizzata da alti livelli di glicemia nel sangue. Abbiamo chiesto alla dottoressa Adriana Branchi, dell’Unità Operativa di Medicina Interna della Fondazione, esperta di diabete e ricercatrice all’Università degli Studi di Milano, di parlarci di questa malattia sempre più diffusa fra la popolazione

Quante forme di diabete esistono e che differenze ci sono?
Esistono principalmente due forme di diabete che sono completamente diverse: il diabete di tipo 1 ed il diabete di tipo 2, che rappresenta il 90% delle forme di diabete.
Il diabete di tipo 1, detto in passato anche diabete di tipo giovanile, colpisce prevalentemente i giovani. Attualmente si fanno diverse ipotesi su che cosa determini la sua insorgenza (origine autoimmune o idiopatica) ma le possibilità di prevenirlo sono scarse. È una forma di diabete in cui la ß-cellula che produce insulina a livello del pancreas viene distrutta in modo irreversibile. La terapia è rappresentata dunque dall’apporto esterno di insulina perché il pancreas ne è privo o ne contiene una bassissima quantità. Questi pazienti se non assumono insulina possono andare incontro a coma e morte.
Ben diverso è il diabete di tipo 2 che è la forma più frequente (colpisce attualmente circa il 5% della popolazione). Una volta veniva chiamato diabete dell’età adulta: questa denominazione non è più attuale poiché con l’aumento dell’obesità nei bambini e negli adolescenti può comparire anche in giovane età. La causa di questa forma di diabete è l’insulino-resistenza e il deficit relativo di secrezione insulinica; in pratica si tratta di un paziente a cui non manca insulina, anzi in genere il suo pancreas ne secerne troppa nel tentativo di mantenere livelli di glicemia normali. Questa situazione è la conseguenza dell’aumento di peso accompagnata da scarsa attività fisica: una condizione che, fino ad un certo punto, può essere reversibile con una dieta adeguata e con una regolare attività fisica.

Come si fa la diagnosi?
La diagnosi di diabete viene fatta con la misurazione della glicemia ed è posta quando due successive determinazioni di glicemia a digiuno sono superiori o uguali a 126 mg/dL oppure se una glicemia casuale nel corso della giornata o dopo carico orale di glucosio è superiore a 200 mg/dL. Recentemente è stata introdotta anche la possibilità di diagnosticare il diabete con valori di emoglobina glicata >6,5% (48 mmol/mol).

Qual è il trattamento?
La dieta e l’attività fisica sono i due capisaldi nella terapia del diabete di tipo 2. La dieta nella maggioranza dei casi deve portare ad una riduzione del peso corporeo, non deve essere drastica perché è necessario che il paziente riesca a mantenerla nel lungo termine. L’attività fisica permette di ‘bruciare’ lo zucchero, migliora il suo utilizzo a livello muscolare e non dimentichiamo anche che l’esercizio fisico, indipendentemente dall’azione di riduzione della glicemia, è anche utile da un punto di vista psicologico. Non serve un’attività fisica particolarmente intensa. In genere vengono indicati come sufficienti 150 minuti alla settimana di attività moderata, cioè di un’attività che comporti un aumento della frequenza cardiaca pari al 50-70% della frequenza cardiaca massima in relazione all’età. In fondo possono essere utili anche 30 minuti al giorno per almeno cinque giorni alla settimana.

Quali suggerimenti per una corretta alimentazione?
La dieta deve essere una dieta in cui i carboidrati, soprattutto complessi, sono presenti in una quota compresa tra il 45 e il 60% (con una quota di zuccheri semplici <10%). Non è vero che il diabetico debba eliminare i carboidrati ma è preferibile scegliere alimenti a minore indice glicemico. Questo rappresenta la velocità con cui aumenta la glicemia nel sangue con l’assunzione di un certo alimento. È molto importante che la dieta sia anche ricca di fibre, che a loro volta rallentano l’assorbimento. I legumi ad esempio sono degli ottimi alimenti, perché costituiti da proteine e carboidrati ricchi in fibre. È inoltre necessario fare attenzione alla quantità di grassi, soprattutto di origine animale, che il paziente assume (formaggi, latte intero, burro, salumi), perché possono aumentare i valori ematici di colesterolo e trigliceridi e contribuire ad accelerare lo sviluppo dell’aterosclerosi, anticamera per le malattie cardiovascolari.
Se la dieta e l’attività fisica non sono sufficienti ad abbassare i valori di glicemia ai livelli desiderati è necessario aggiungere una terapia farmacologica che non deve essere però considerata un sostitutivo, ma un’aggiunta ad un corretto stile di vita.

intervista di Eloisa Consales

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Ipertensione, malattie cardiovascolari, trombosi. Intervista al Prof. Lombardi

Intervista al Prof. Federico Lombardi
Direttore UOC Malattie Cardiovascolari, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Professore Ordinario, Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università degli Studi di Milano

 

Tumori, alimentazione e ambiente. Intervista al Dott. Tomirotti

Abbiamo chiesto al Dottor Maurizio Tomirotti, direttore dell’oncologia del nostro Ospedale, di approfondire alcuni aspetti del tema

Dottor Tomirotti è ormai certa la relazione tra alimentazione e tumori?
Non ci sono dubbi. Fino al 40% dei tumori possono essere messi in relazione con abitudini alimentari scorrette. In particolare l’eccesso di grassi nella dieta, un consumo elevato di carne, un basso apporto di verdure favorisce l’insorgenza di alcuni tumori, in particolare a carico dell’apparato digerente (stomaco, pancreas, colon) e della mammella. Non solo. Oggi sappiamo che correggere le abitudini alimentari in modo da eliminare il sovrappeso corporeo può ridurre il rischio di recidiva di un tumore operato. Una corretta alimentazione deve prevedere pochi grassi – specie animali – poca carne, almeno due porzioni di verdura ogni giorno, cibi integrali. È anche necessario ridurre i cibi la cui conservazione è ottenuta in maniera diversa dal freddo (additivi, affumicagione, salatura).
Ogni giorno il nostro organismo ricambia 80 milioni di cellule, che vengono sostituite con elementi introdotti con la dieta: siamo quello che mangiamo!

E l’alcool che ruolo gioca?
È nota da tempo la micidiale associazione tra fumo di tabacco e alcool nel determinare l’insorgenza dei tumori del cavo orale, della laringe e dell’esofago. Più in generale, l’effetto immunosoppressivo dell’abuso di alcool è chiamato in causa tra i processi che favoriscono lo sviluppo dei tumori maligni.

Gli stili di vita rivestono un ruolo importante nella prevenzione delle malattie e nello specifico dei tumori. Quali sono i fattori di rischio maggiori?
Classicamente il fumo di tabacco fa la parte del leone. Le sigarette, oltre alla nicotina, contengono 4.000 sostanze chimiche di cui almeno 40 sono altamente tossiche e cancerogene. Il 90% dei tumori polmonari è dovuto al fumo. È ampiamente documentato che la cessazione dal fumo riconduce nel tempo a valori di rischio normali. È altrettanto ben documentato che nel mondo occidentale i maschi delle classi sociali più fortunate – i primi che hanno rinunciato al fumo – hanno visto calare la curva di mortalità per cancro al polmone. Parallelamente le donne – che più tardi hanno cominciato a fumare e che almeno per il momento continuano a farlo – vedono invece impennarsi la curva di mortalità che ha incrociato, superandola, la curva in discesa relativa al sesso maschile. È un sorpasso che non fa loro onore.
Tra gli stili di vita da ricordare le abitudini sessuali: partner occasionali e rapporti non protetti favoriscono la diffusione di virus oncogeni responsabili fino al 10% dei tumori.

E l’ambiente? Incide anche questo?
Sicuramente l’ambiente incide, anche se in generale meno di quanto sia stato enfatizzato. Si ritiene che l’inquinamento atmosferico sia responsabile del 2% dei tumori e che fattori geofisici generali (irradiazione da UV, radon, ecc) del 3%. Diverso – e maggiore – è il rischio nelle aree ad alta concentrazione di inquinamento industriale, dove ai fattori ambientali si sommano i rischi occupazionali che nel loro insieme sono responsabili del 7% dei tumori. In questi casi occorre però valutare con attenzione il rischio tipico dell’area (un esempio per tutti quello del mesotelioma da amianto a Casale e Monfalcone).

Corretta alimentazione e stili di vita sani possono molto per la prevenzione del tumore primario. Ma che nella prevenzione delle recidive?
A questo proposito classico è l’esempio del tumore della mammella. Una donna in sovrappeso operata di tumore al seno che riporti il proprio peso corporeo entro il range di normalità vede ridursi il proprio rischio di ricaduta locale, e di metastasi a distanza, di una quota percentuale rilevante (almeno 5%) e aggiuntiva a quanto si ottiene con la terapia di deprivazione ormonale. Infine voglio ricordare che la riduzione del peso si ottiene attraverso una alimentazione corretta che possa essere sostenuta nel tempo (le diete devastanti hanno poco significato perché sostenibili solo per brevi periodi) associata alla attività fisica (10.000 passi al giorno!).

Intervista di Eloisa Consales

Tumori, alimentazione e ambiente. Interviste agli esperti

Intervista al Prof. Pier Alberto Bertazzi
Direttore Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano, Dipartimento Area della Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico

Intervista al Prof. Luigi Santambrogio
Direttore UOC Chirurgia Toracica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Professore ordinario, Università degli Studi di Milano

Intervista alla Dr.ssa Maria Silvia Sfondrini
Responsabile UOS Diagnostica Senologica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico